La gestione finanziaria di una azienda zootecnica: evoluzione e strumenti

Allevatore di bovini che si prende cura del benessere dei propri bovini

L’evoluzione a cui abbiamo assistito, stiamo assistendo e assisteremo, ha portato a una radicale trasformazione delle aziende zootecniche sotto vari punti di vista. Le stesse aziende hanno aumentato in modo significativo la dimensione, quindi il numero dei capi in gestione, hanno implementato il patrimonio tecnologico a supporto del processo produttivo, ed è cresciuto il ricorso alle esternalizzazioni.

Quello che prima era un quadro abbastanza semplice da decifrare per il commercio e per l’allevamento di bovini, con una stalla di animali di dimensioni ridotte, autosufficienza produttiva, manodopera prevalentemente famigliare e rimonta autoprodotta, oggi è un intricato disegno variopinto, e soprattutto in continua evoluzione.

A performance sempre crescenti fa da contraltare la selezione di un gruppo di fornitori in grado di approvvigionare l’impresa delle materie prime spesso non autoprodotte, indispensabili per formulare una razione efficiente, unitamente a tutto il processo di acquisizione e gestione delle nuove tecnologie e alle incombenze amministrative e pratiche richieste per il mantenimento degli standard qualitativi richiesti dalla legge.

All’atto pratico, l’allevatore 2.0 si trova a dover gestire un numero sempre crescente di input da processare, gestire e razionalizzare, che ovviamente generano una serie di quelle che gli esperti chiamano liabilities, (ovvero scadenze di pagamento), che trovano il corrispettivo attivo sempre in una sola voce: il “mese del latte”!

La mancanza di strumenti adeguati all’analisi classica

Lo scenario sopra descritto non è tipico del settore zootecnico: da anni i settori industriali e commerciali affrontano queste problematiche, ed hanno affinato tecniche per monitorare e ottimizzare la gestione finanziaria d’impresa.

Certo è che – a sostegno dei processi di analisi per le aziende non appartenenti al settore agricolo – gli stessi dispongono di strumenti derivati dagli obblighi contabili a cui queste sono sottoposte. Come dire: non tutto il male viene per nuocere, e se si deve sottostare a una certa ortodossia normativa, almeno cerchiamo di trarre quanto più di buono si può da una situazione de iure.

Il fatto che le imprese non agricole abbiano l’obbligo di redigere un bilancio di esercizio (secondo la IV direttiva CEE se società di capitali, in schema libero se società di persone), costituisce la base di partenza per – dopo opportuna riclassificazione – trarre una serie pressoché infinita di indici patrimoniali ed economici, la cui validità risiede proprio nel rendere possibile un monitoraggio dello stato di salute dell’azienda, con particolare attenzione alla gestione finanziaria.

Senza entrare nel dettaglio di questa materia vastissima, si troveranno – a seguito di analisi – aziende in equilibrio finanziario, aziende sotto o sopra capitalizzate, aziende con squilibri più o meno accentuati di liquidità: in ogni modo questa istantanea della azienda fornirà sempre una solida base di partenza per attuare correttivi più o meno drastici.

Il regime di contabilità semplificata a cui sottostanno le imprese agricole (o meglio la quasi totalità delle stesse) e la rarissima casistica di imprese costituite in forma di società di capitali, rende quasi inapplicabile all’atto pratico il meccanismo classico dell’analisi di bilancio, a meno che qualcuno, che sia opportunamente formato, non si prenda l’onere di tenere una contabilità interna secondo gli standard industriali/commercial, fino alla redazione di un vero e proprio bilancio di esercizio di fine anno.

Come comportarsi di fronte alla mancanza di standard contabili?

Detto ciò, la domanda che nasce quasi spontaneamente è: se non si può applicare un protocollo standard per verificare la corretta gestione dell’aspetto finanziario, come posso monitorare la mia azienda sotto questo profilo?

Premesso che – come abbiamo già detto – le imprese zootecniche si caratterizzano per pochi (numericamente) incassi mensili (vendita del latte, vendita del bestiame da riforma e/o di eventuali animali in esubero, vendita sporadica di prodotti agricoli in surplus), a fronte di una platea di pagamenti molto frazionata, i consigli che ci sentiamo di fornire per cercare di ottimizzare la gestione finanziaria sono i seguenti:

  • Evitare di frazionare troppo il numero degli Istituti di Credito. Ogni banca gradisce che presso i propri conti correnti sia appoggiata una adeguata movimentazione, in grado di far ruotare le linee di credito concesse almeno 4/5 volte all’anno (per spiegarsi: a fronte di un fido di cassa concesso per 10.000,00 euro, le banche ritengono adeguata una movimentazione attiva pari a 40.000,00/50.000,00 euro annui). Il frazionamento comporta poi un problema fin troppo evidente di gestione; quindi, bisogna evitare di cadere nella trappola mentale del “sé la banca A, di cui sono cliente, ha dei problemi a finanziarmi, vado dalla banca B e ottengo il finanziamento”. Il rapporto presso la banca B va gestito correttamente, e potrebbe richiedere una canalizzazione degli incassi già domiciliati presso la banca A, creando la proverbiale situazione della “coperta troppo corta”.
  • Evitare di avere un numero eccessivo di finanziamenti con scadenze differenti. Spesso le imprese fornitrici di macchine agricole o di attrezzature zootecniche propongono a corredo del proprio prodotto anche la possibilità di accedere a un finanziamento proposto da una finanziaria collegata. Nulla di male, ci mancherebbe, ma – per esperienza – risulta controproducente avere troppi impegni (anche di importo modesto) a diverse scadenze. Qualora ci si trovi in una situazione del genere è meglio pensare a una ristrutturazione del debito, rivolgendosi a un istituto che accorpi i vari impegni in un unico finanziamento con scadenza certa.
  • Ogni prodotto proposto dalla banca ha una sua struttura, una sua destinazione e un suo uso corretto. Se si vuole acquistare un bene durevole è bene ricorrere a un impegno a lungo termine, anche garantito da ipoteca. Per acquisti di attrezzature è opportuno ricorrere a finanziamenti dedicati che spalmino l’onere dell’acquisto lungo tutto l’arco temporale nel quale il bene acquistato produce utilità. I fidi di cassa vanno utilizzati solo per garantire l’elasticità della gestione, così come per anticipare dei futuri incassi esistono forme adeguate di breve termine. Le cambiali agrarie (o prestiti di conduzione) infine sono pensate principalmente per finanziare l’acquisto di scorte, e non devono essere mai interpretate a “vita infinita”, ma devono seguire un proprio piano di rientro prestabilito. Scegliere uno prodotto finanziario non adatto è un errore più comune di quanto si pensi, spesso dettato dalla fretta e dalla comodità, che ha però riflessi tutt’altro che trascurabili sulla gestione aziendale.
  • Prevedere, in un’ottica prudenziale, un piano di accumulo mensile (anche di importo esiguo) che vada a creare nel tempo un piccolo tesoretto che funga – al bisogno imprevisto – da cuscinetto per ammortizzare i rischi di carenza di liquidità. Se ciò non si verificherà mai, si avrà sempre una riserva patrimoniale che non potrà che essere gradita (e qualche volta rasserenare i nostri sonni).
  • E infine, ultimo ma non meno importante, non sottovalutare mai la complessità della materia, e affidarsi – quando possibile – a un esperto che possa consigliare e guidare le scelte aziendali nella maniera ottimale. È noto che la gestione finanziaria della azienda sia un nodo spinoso, e che spesso la proprietà della stessa non abbia piacere a coinvolgere persone terze in questioni “intime”; numerosissimi casi mutuati dalla letteratura industriale, dimostrano però quanto la stessa materia affidata alla consulenza di terzi abbia spesso deciso le sorti delle imprese.

Dalla consulenza su finanza e investimenti all’allevamento bovini

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